Ricercare i propri luoghi impressionanti… come ripercorrere
se stessi a volo d’uccello e osservare il proprio mondo per intero, cogliendone
la vastità e ricchezza, ma non percependone ad una prima veduta ogni dettaglio.
Così ci si avvicina planando sugli angoli e gli scorci che più colpiscono il nostro occhio.
Ci riposiamo, fermiamo l’immagine e ne assaporiamo il ricordo.
A volte l’immagine sembra più sbiadita, una scena più frammentaria ma con sensazioni vivide e chiare, altre volte è a colori ed alta definizione, ma il filo che collega alle emozioni non è sempre integro.
Altri ricordi sono in sordina e bisogna scavare molto, ma di altri al contrario ne percepiamo ancora i sensi, in maniera così diretta che provoca un’esplosione emotiva.
Quel momento e quel luogo sono ancora lì, cosi presenti e reali che ci appartengono.
Mai avrei pensato di fare questa ricerca in questo contesto, né tantomeno di raccontarlo a qualcun’altro mettendolo nero su bianco, in un blog, sul web,ma allo stesso tempo è un’occasione interessante che mi ha permesso di ripercorrere ricordi e luoghi più lontani o nascosti, mi sono soffermata su quelli che hanno avuto una potenza emotiva e un’energia particolare su di me.
Ciò che ho trovato più interessante è stato scoprire con naturalezza che alcuni dei luoghi che tornavano con particolare forza alla mia mente avevano in comune lo stesso scenario, il deserto.
Mi rendo conto che sarebbe stato più semplice e forse coerente scartare questo specifico posto e considerarne altri del mio passato, magari quelli più strettamente connessi ai primissimi anni di vita, e magari più inerenti all’ambito dell’architettura.
Ma poi tornavo con la mente e con il cuore sempre lì, e le connessioni sono state per me
sempre più chiare.
Avevo 9 anni ed era estate, e con la mia famiglia e i nostri amici facemmo un giro della parte
occidentale degli Stati Uniti.
Il giorno che visitammo la Monument Valley, al confine tra Utah e Arizona, fu un giorno per me particolare, in quanto dalla battuta di un nostro amico, scoprii, grazie alla particolare
argutezza che mi contraddistingueva, che Babbo Natale non esisteva e che era tutta un’ invenzione ben progettata dai miei genitori e ben coperta dai miei fratelli.
Nonostante la mia età non fosse effettivamente così tenera, la rivelazione e l’ammissione di quella realtà così amara fu per me un colpo al cuore, vissuto come un dramma;
non ero realmente arrabbiata con loro ma mi sentii allo stesso tempo presa in giro, perché non capivo il senso di farmi credere a quella magia.
Non volevo fare i conti fino ad allora con la realtà su cui mi affacciavo, ero la più piccola di casa, ma anch’io dovevo iniziare a crescere.
I conti li dovetti simbolicamente fare lì, di fronte ad un luogo così singolare.
Il calore così forte del sole e la luce che si rifletteva su quella distesa immensa di sabbia rossa sembravano in parte in contrasto con il mio umore ma allo stesso tempo mi avvolgevano in quel bagliore così diretto.
Quel paesaggio in quella giornata mi stava accogliendo.
Mi ha accolto sia come scenario dal finestrino della macchina nel momento in cui cercavo conforto nei miei familiari : le immagini scorrevano contemporaneamente allo scorrere dei miei pensieri e lacrime;
e sia nel momento in cui arrabbiata ho sentito il bisogno di allontanarmi dagli altri, in sosta sulla strada fuori dalla jeep, per avvicinarmi a quella distesa immensa e prevalentemente pianeggiante e per camminare su quella terra cosi rossa e suggestiva, andando incontro alla vista delle imponenti guglie di roccia che si mostravano davanti a me.
Vere e proprie sculture e edifici di roccia e sabbia ( geologicamente definite “ testimoni di erosione”)
che si erigono nel paesaggio desertico creando figure che lasciano spazio alla nostra fantasia.
“Mesa” sono definite le formazioni rocciose più larghe che alte e “Butt” quelle più alte che larghe.
Ho ben scolpito in mente che eravamo vicini al Mexican Hat quando mi sono allontanata quei pochi minuti,ma così fondamentali per ritagliarmi un momento da sola.
Di fronte solo io, la terra e la roccia a forma di torre,ero lì quasi a volermi confrontare con lei.
Ma io ero così piccola che il confronto non reggeva.
Eppure la vastità di quel luogo era in grado di farmi sentire libera, non assorbita ma accolta .
Incredibile come uno spazio cosi immenso possa essere sentito come uno spazio cosi intimo e personale.
La stessa sensazione e la stessa tipologia di paesaggio desertico l ‘ ho ritrovata negli anni, in luoghi e momenti differenti.
In un primo istante mi è sembrato ironico e forse non adeguato trovare nel deserto il luogo del mio
imprinting, un luogo non –luogo.
Credo sia indubbia la spettacolarità e bellezza di questo scenario,ma come è possibile arrivare a sentire un’appartenenza ad un luogo che è fuori dalla vita circostante,un grande vuoto sulla Terra ?
E in che modo può questo Nulla essermi di spunto per la costruzione di qualcosa?
Quel luogo mi ha dato qualcosa che non trovavo da altre parti:
ha accolto i miei spazi vuoti, trasformando l’idea di vuoto in ricchezza, libertà sconfinata,
contatto con la terra e con la luce.
Uno spazio magico e spirituale.
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