giovedì 12 aprile 2018

BANG e SCACCHIERA


Luxe Lake Gateway and Art Center, Chengdu, Cina 2014,di Antoine Predock e possibili
variazioni.

Musica: 21 MOON WATER di Bon Iver, Album 22,A Million, 2016.






mercoledì 4 aprile 2018

Imprinting

Ricercare i propri luoghi impressionanti… come ripercorrere
se stessi a volo d’uccello e osservare il proprio mondo per intero, cogliendone 
la vastità e ricchezza, ma non percependone ad una prima veduta ogni dettaglio. 
Così ci si avvicina planando sugli angoli e gli scorci che più colpiscono il nostro occhio. 
Ci riposiamo, fermiamo l’immagine e ne assaporiamo il ricordo.
A volte l’immagine sembra più sbiadita, una scena più frammentaria ma con sensazioni  vivide e chiare, altre volte è a colori ed alta definizione, ma  il filo che collega alle emozioni non è sempre integro.  
Altri ricordi sono in sordina e bisogna scavare molto, ma di altri al contrario ne percepiamo ancora i sensi, in maniera così diretta che provoca un’esplosione emotiva. 
Quel momento e quel luogo sono ancora lì, cosi presenti e reali che ci appartengono.
Mai avrei pensato di fare questa ricerca in questo contesto, né tantomeno di raccontarlo a qualcun’altro mettendolo nero su bianco, in un blog, sul web,ma allo stesso tempo è un’occasione interessante che mi ha permesso di ripercorrere ricordi e luoghi più lontani o nascosti, mi sono soffermata su quelli che hanno avuto una potenza emotiva e un’energia particolare su di me.
Ciò che ho trovato più interessante è stato scoprire con naturalezza che alcuni dei luoghi che tornavano con particolare forza alla mia mente avevano in comune lo stesso scenario, il deserto.
Mi rendo conto che sarebbe stato più semplice e forse coerente scartare questo specifico posto e considerarne altri del mio passato, magari quelli più strettamente connessi  ai primissimi anni di vita, e magari più inerenti all’ambito dell’architettura.
Ma poi tornavo con la mente e con il cuore sempre lì, e le connessioni sono state per me 
sempre più chiare.

Avevo 9 anni ed era estate, e con la mia famiglia e i nostri amici facemmo un giro della parte 
occidentale degli Stati Uniti. 
Il giorno che visitammo la Monument Valley, al confine tra Utah e Arizona, fu un giorno per me particolare, in quanto dalla battuta di un nostro amico, scoprii, grazie alla particolare 
argutezza che mi contraddistingueva, che Babbo Natale non esisteva e che era tutta un’ invenzione ben progettata dai miei genitori e ben coperta dai miei fratelli.
Nonostante la mia età non fosse effettivamente così tenera, la rivelazione e l’ammissione di quella realtà così amara fu per me un colpo al cuore, vissuto come un dramma; 
non ero realmente arrabbiata con loro ma mi sentii allo stesso tempo presa in giro, perché non capivo il senso di farmi credere a quella magia.
Non volevo fare i conti fino ad allora con la realtà su cui mi affacciavo, ero la più piccola  di casa, ma anch’io dovevo iniziare a crescere.
I conti li dovetti simbolicamente fare lì, di fronte ad un luogo così singolare.
Il calore così forte del sole e la luce che si rifletteva su quella distesa immensa di sabbia rossa sembravano in parte in contrasto con il mio umore ma allo stesso tempo mi avvolgevano in quel bagliore così diretto.
Quel paesaggio in quella giornata mi stava accogliendo. 
Mi ha accolto sia come scenario dal finestrino della macchina nel momento in cui cercavo conforto nei miei familiari : le immagini scorrevano contemporaneamente allo scorrere dei miei pensieri e lacrime; 
e sia  nel momento in cui arrabbiata ho sentito il bisogno di allontanarmi dagli altri, in sosta sulla strada fuori dalla jeep, per avvicinarmi a quella distesa immensa e prevalentemente pianeggiante e per camminare su quella terra cosi rossa e suggestiva, andando incontro alla vista delle imponenti guglie di roccia che si mostravano davanti a me.  
Vere e proprie sculture e edifici di roccia e sabbia ( geologicamente definite “ testimoni di erosione”) 
che si erigono nel paesaggio desertico creando figure che lasciano spazio alla nostra fantasia.
“Mesa” sono definite le formazioni rocciose più larghe che alte e “Butt” quelle più alte che larghe.
Ho ben scolpito in mente che eravamo vicini al Mexican Hat quando mi sono allontanata quei pochi minuti,ma così fondamentali per ritagliarmi un momento da sola. 
Di fronte solo io, la terra e la roccia a forma di torre,ero lì quasi a volermi confrontare con lei. 
Ma io ero così piccola che il confronto non reggeva. 
Eppure la vastità di quel luogo era in grado di farmi sentire libera, non assorbita ma accolta .
Incredibile come uno spazio cosi immenso possa essere sentito come uno spazio cosi intimo e personale.

La stessa sensazione e la stessa tipologia di paesaggio desertico l ‘ ho ritrovata negli anni, in luoghi e momenti differenti.
In un primo istante mi è sembrato ironico e forse non adeguato  trovare nel deserto il luogo del mio 
imprinting, un luogo non –luogo.
Credo sia indubbia la spettacolarità e bellezza di questo scenario,ma come è possibile arrivare a sentire un’appartenenza ad un luogo che è  fuori dalla vita circostante,un grande vuoto sulla Terra ?
E in che modo può questo Nulla essermi di spunto per la costruzione di qualcosa?
Quel luogo mi ha dato qualcosa che non trovavo da altre parti: 
ha accolto i miei spazi vuoti, trasformando l’idea di vuoto in ricchezza, libertà sconfinata, 
contatto con la terra e con la luce.
 Uno spazio magico e spirituale.




martedì 20 marzo 2018

Sguardo critico sul quartiere Tor Sapienza



In entrambe le interpretazioni critiche ho voluto fondere foto di opere del Maam con le foto di edifici dell'area (nel primo caso ville di tipo vernacolare e nel secondo caso un grande complesso, originariamente  costruito per essere un hotel di lusso,ma diventato luogo occupato da famiglie di diverse nazionalità,che l'hanno trasformato nella propria casa,dando vita a una grande comunità.). 
Nella prima interpretazione la forza vitale delle opere artistiche del Maam  sembra espandersi  anche all'esterno della struttura fino a coinvolgere l'intero contesto.
Una pioggia o una cascata di colore inonda le case del luogo,e il prato prende vita con lo sbocciare di fiori.

Nella seconda interpretazione vi è un riferimento ad una nave da crociera sul mare,sia a livello estetico per le sue forme e colossali dimensioni mi ha fatto pensare a questo confronto,sia per il significato simbolico che assume il viaggio in mare.
"Nihil difficile volenti" è il messaggio di forte impatto che ritroviamo nell'opera di Pasquale Altieri su sfondo azzurro al Maam. L'opera e la sala in cui essa si trova mi sembrava un rimando ai viaggi in mare di chi è arrivato
con forza e fatica dal proprio Paese fin qui alla ricerca di salvezza,di pace,alla ricerca di casa.
Ciò che l'immagine vuole comunicare è anche il contrasto tra un luogo che nasce come luogo di lusso come un grande hotel o  una nave da crociera e la realtà opposta di cui invece fa parte.

mercoledì 14 marzo 2018

giovedì 8 marzo 2018

Capisaldi di Architettura

III.Capitolo 6. Ludwig Mies Van Der Rohe, IIT campus, Chicago, 1938
"..lascia la Germania per diventare il direttore dell’Illinois Institute of Technology di Chicago con l’incarico di progettare il piano d’insieme del nuovo campus e diversi dei suoi edifici. Con questo progetto statunitense si consuma un arretramento sensibile e drammatico della sua ricerca. Proprio chi aveva compreso come realizzare in un insieme interagente e continuo lo spazio interno e quello esterno abbandona..." 






III.Capitolo 13. Ludwig Mies Van Der Rohe, Stadt Gallery Berlino 1962-1963
"..Su questa strada Mies non può che inseguire archetipi antichi, come quello del tempio basamentale della sua StatGalerie, che realizza in una Berlino che ora interpreta attraverso il neoclassicismo di Schinkel ..."



VII.Capitolo 7. Daniel Libeskind, Victoria&Albert Museum, Londra 1996
"...Alla metà degli anni novanta un’altra grande prova. La spirale che si avvinghia nello spazio assunta al moto della crescita del sapere e della vita nell’ampliamento del Victoria&Albert Museum a Londra, il tempio delle arti applicate.. "(p. 349)


Sguardo critico sull'Arte

FORMA( “dal latino forma e dal greco μορφή (morphé) lemmi quasi sovrapponibili ma che presentano sfumature diverse. Infatti, il primo trae origine dalla radice sanscrita dhar- che significa tenere, sostenere . La versione greca ha, invece, un'origine più composita, infatti, alla base mor- che esprime il senso del vedere, dell'apparire è stata unita la radice -fé che pare risalire dall'ebraico af, con il significato di faccia, per cui la forma sarebbe la "faccia visibile" della realtà.")




( "L'identico e il differente",Daniela De Lorenzo,2003)
("L'uomo che cammina, Alberto Giacometti,1961)
(Analisi e interpretazione grafica delle due opere)

 La scelta di considerare le due seguenti opere è nata dal comune interesse che esse ci hanno suscitato. Infatti abbiamo percepito in entrambe un comune intento e un comune bisogno da parte degli autori; l’intento a cui ci riferiamo è quello di una ricerca continua e spasmodica di autodefinire sé stessi,rappresentare e conoscere la parte più autentica di noi,la nostra essenza. 
 Una ricerca che rivela nelle opere il tormento dato dalla difficoltà di designare con contorni chiari l’identità, lasciando spazio invece alle infinite sfaccettature di cui è composta la nostra natura. 
 Lo riscontriamo nei chiaroscuri e nella fluidità dei movimenti del feltro utilizzato da D.De Lorenzo e nelle irregolarità e ruvidità della scultura bronzea di A.Giacometti.
 I due artisti,a nostro parere, conducono la stessa ricerca ma operando con due processi tra loro opposti : De Lorenzo sembra rinunciare all’obiettivo di dare una forma alll’essenza mostrando al contrario un involucro esterno, un vestito di feltro, che non ricopre alcun corpo in quanto assente.
A. Giacometti invece sembra essere mosso dal bisogno di scavare,quasi fino all’osso, il corpo dell’uomo nella speranza di giungere al nucleo della sua essenza.
 Entrambe le opere rimarcano una evidente verticalità e un senso di fragilità delle strutture stesse: “L’identico e il differente” è sospesa dall’alto e protende verso il basso come a voler toccare terra,al contrario “L’uomo che cammina” è saldo a terra e protende in un moto ascensionale .
 L’interpretazione grafica vuole mettere in risalto gli aspetti descritti,evidenziando l’incapacità di cogliere nell’intero la loro essenza,ma apprezzandone invece i movimenti e le diverse sfaccettature, e inoltre delinea l’intento di mettere a fuoco le figure e i contorni,passando per una fase di eccessiva definizione di essi,che porta a un appiattimento delle forme nel caso de “L’uomo che cammina” .





Temporaneità. Questa è la parola che abbiamo scelto per poter analizzare le due opere, da noi scelte, al fine di determinare la sua configurazione formale/espressiva, secondo la nostra umile e soggettiva interpretazione.

La prima scelta risiede nella Alain Jacquet con “Le déjeuner sur l’herbe” (1964) per un Mario Schifano, un pittore, che si trova al centro della composizione originale. Tutti seduti e sedotti dall’importanza del tempo libero. Una donna, perfetta nelle sue imperfezioni che, con il gesto di una mano sotto un mento, ancora oggi, riesce ad ottenere l’attenzione dell’osservatore. La tecnica che utilizza l'artista, in questo caso, è la serigrafia. Ciò permette che l'immagine, inizialmente fotografica, venga stampata per mezzo di una deposizione dell'inchiostro sulla tela. Al fine di scomporre l'immagine e ricostruirla per mezzo dell'osservatore, con la deposizione di piccole "macchie" di colore.

Lo sfondo lo dobbiamo a Gilbert & George. "Flow" (1988), questo è il nome dell'opera. Corrente. Una corrente del tempo, che qui sembra immobilizzarsi con le sue nuvole. Nell’originale vediamo i due artisti simmetricamente disposti in ginocchio, a loro volta sostenuti da due ginocchia maschili. L’unico frammento di un corpo che non c’è più, ma che ho cercato di restituire con la figura femminile di Jeannine Goldschmidt nel quadro della Jacquet. Gilbert e George immobili, sostituiti dalla composizione dinamica delle due figure maschili ora presenti. 
La tecnica della serigrafia è stata reinterpretata al fine di creare un contrasto tra quello che le opere sono nella loro forma originale e quello che è stata la nostra interpretazione. La ricomposizione, per mezzo dell'immagine fotografica della Jacquet e la scomposizione dello sfondo estrapolato dall'opera di Gilbert & George, trasformandolo in una stampa serigrafica.
Un momento, la sua temporaneità per cui godere del piacere ed un altro per cui temerlo ed esserne quasi succubi (il cielo). I tagli, le mie fessure bianche? Entrambe le opere originali sono frammentate. Le unisce. La vita è fatta di momenti e di attese. Basta solo essere capaci a comprendere quando è il caso di agire. 

Alain Jacquet, Le déjeuner sur l'herbe, 1964

Gilbert & George, Flow, 1988


Maria Sole Beltrotti, Amarildo Bracaj, Silvia Cascone, Benedetta Di Luzio




lunedì 5 marzo 2018

LabIII

Il tema del progetto affrontato nel seguente Laboratorio di Progettazione riguarda l'area del Clivio Portuense, lungo la via che segue il corso del fiume Tevere, laddove nasceva lo storico Porto di Ripa Grande e l'ex Arsenale pontificio.
La storica Porta Portese,elemento identitario della zona, apre la strada verso l' attuale mercato di Porta Portese.
Il progetto mira a riqualificare l'area con la creazione di nuove residenze,servizi e spazi pubblici,mantenendo e riorganizzando la funzione del mercato. L'obiettivo, inoltre, è stato quello di restituire una permeabilità e un contatto maggiore con il fiume Tevere( attualmente ostacolato dalla presenza di edifici in maggioranza dismessi o abbandonati).